Perché fare la camminata Milano-Pavia

Sabato 5 maggio ho camminato per la terza volta la quarta camminata Milano-Pavia, di cui ho perso la prima edizione perché ancora non la conoscevo. Dalla seconda non ne ho perso mai una, ma ho sempre percorso a piedi i 34 km che collegano Milano a Pavia. Immancabilmente con la mia amica di km Sonia, le cui povere orecchie sono stremate dal mio ininterrotto chiacchiericcio: non sto mai zitta! Tra le parole della giornata, a un certo punto, ho ragionato molto sulla risposta da dare a chi mi chiede sempre Ma chi te lo fa fare? La prima risposta è Mi piace camminare, ma ragionandoci sopra credo mi sproni soprattutto il voler dimostrare a me stessa e agli altri, soprattutto ai preoccupatissimi Antoni, che il cancro non ha cambiato la mia natura: io sono la stessa pazzoide che camminava per andare a e tornare da lavoro. Il tumore non è riuscito a scalfire la mia forza, ha semmai mi ha fortificato perché ho abbandonato cattive abitudini e stili di vita insostenibili.
Nella stessa giornata della mega-camminata, la scrittrice Michela Murgia ha annunciato sul Corriere della Sera che un tumore metastatizzato le lascia poco tempo da vivere e nell’intervista, ha scritto delle frasi inaspettate e suggestive sul tumore. Su tutte mi ha colpito “Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto, o l’alieno (termine usato in passato da Oriana Fallaci)” perché “definirlo così sarebbe come sentirsi posseduta da un demone. E allora non servirebbe una cura, ma un esorcismo”. Non so se siamo speciali, però credo che piuttosto che vittimizzarci, Murgia abbia visto nella sua malattia un dono per realizzare i suoi sogni: i suoi 20 “figli dell’anima”, l’acquisto di una casa e le nozze, insomma ha pensato alla sua queer family, ossia un “nucleo familiare atipico in cui le relazioni contano più dei ruoli”.
Alla fine dedica un’altra frase a sé e a questa famiglia, un pensiero in cui mi sono molto riletta: “Il dolore non si può cancellare; il trauma sì. Hai bisogno di tempo per abituare te stessa e le persone a te vicine al transito”. Io ho cercato sempre di tutelare me, la mia famiglia, i genitori, il mio compagno e gli amici, rassicurandoli che sto bene. Per questo cammino quel naviglio che lega il capoluogo lombardo alla sua provincia viscontea.

E poi – sarà che sono proprio tutta matta – la camminata Milano-Pavia mi ha portato a pensare alla contemporanea società industriale sempre più fondata sulle macchine. Lungo il naviglio pavese, Ludovico il Moro si prese una pausa quando doveva raggiungere a piedi la moglie Beatrice d’Este.
Forse dimentichiamo quali enormi distanze si percorrevano a piedi nel passato. Basti pensare, al meraviglioso Addio Monti di Alessandro Manzoni che percorre il viaggio di Renzo da Lecco a Milano, per non parlare di quel viaggio fisico e interiore che lo stesso sposo promesso invece dovette intraprendere per scappare da Milano attraversando il mio Naviglio Martesana per raggiungere Trezzo d’Adda e di lì, fino a Bergamo.
E quanti Cammina, cammina ci leggono le favole?
Insomma, prima della società delle macchine si andava a piedi… Quindi anche ora possiamo farlo! E possiamo anche meglio di prima, perché abbiamo conoscenze migliori, per esempio, su come proteggersi da sole e freddo, e su come affrontare preparati atleticamente elevate distanze, il giusto abbigliamento, mica come Ötzi, la mummia del Similaun che, 5300 anni fa, se ne andava a caccia sulle Alpi Venoste – dove venne ammazzato colpito da una freccia – con calzari con interno di paglia ed esterno in pelle, giacca in pelle, perizoma di pelle. Vero è che sul ghiacciaio Gurgler Eisjoch nelle Alpi Venoste, poco lontano dal luogo di ritrovamento di Ötzi, è stata rinvenuta una ciaspola risalente al tardo Neolitico (ha addirittura 5800anni) e dal 2023 è conservata al Museo Archeologico dell’Alto Adige. Della mummia bolzanina, ancora più antica delle piramidi egizie e di Stonehenge, vale la pena per Alimentarmente, ricordare quale fu il suo ultimo pasto composto da carne fresca o essiccata di stambecco e cervo reale, antico farro monococco e alcune tracce di felce aquilina, una pianta tossica. I ricercatori hanno rilevato nello stomaco della mummia numerose biomolecole come proteine, grassi e carboidrati. Di vegetali, c’era poco: il monococco, oggi volgarmente denominato piccolo farro, è uno dei primi cereali a essere stato addomesticato dall’uomo ed è considerato un precursore del grano, mentre la felce aquilina è una pianta tossica, probabilmente usata da Ötzi per curarsi da problemi intestinali, o per incartare il cibo, per questo contaminato da qualche particella. Ma soprattutto è emersa un’alta percentuale di grassi, che suggerisce che l’Uomo dei ghiacci fosse già consapevole, oltre 5300 anni fa, che i grassi sono un’importante fonte di energia. “L’ambiente in cui l’uomo del Similaun visse è situato a 3210 metri sul livello del mare, un tipico ambiente alpino di alta montagna che pone particolari sfide alla fisiologia umana”, spiega Frank Maixner, microbiologo di Eurac Research. “Quindi, per evitare improvvise perdite di energia, in questi habitat è necessario un apporto ottimale di sostanze nutritive” – a dimostrazione che già nel Neolitico l’uomo sapeva adattarsi all’ambiente.
Quindi mi sono spiegata la camminata Milano-Pavia come una forma di disobbedienza alla società industriale che vuole convincerci che il progresso ha aumentato le nostre capacità e migliorato la nostra vita, ma tace le complicazioni che ha contemporaneamente sviluppato.
E qui apro un altro tema che non c’entra niente con la camminata Milano – Pavia, ma che mi tormenta dall’8 febbraio, quando Microsoft ha deciso di integrare ChatGpt nel suo motore di ricerca Bing. ChatGpt è un software dell’azienda californiana OpenAi in grado di generare in pochi secondi un testo su qualunque argomento, rispondendo alle domande dell’utente. Io, che sono giornalista, riflettevo sulla ricaduta nefasta che, la recente e rapidissima diffusione di ChatGPT e delle altre intelligenze artificiali, avrebbe presto avuto nel settore della produzione narrativa e, più in generale, in quello della comunicazione.
Pensavo essenzialmente alla tristezza di trovarsi un giorno a leggere un libro che non è stato partorito dalla mente di un uomo, ma dagli impulsi elettrici generati da miliardi di transistor contenuti nei processori.
Anche la tecnologia vuole far fuori la nostra essenza più pura e innocente, sostituendo alla nostra intelligenza quella artificiale.
Nel cammino tra Milano e Pavia ho pensato a come la società attuale abbia trasformato l’alimentazione naturale in alimentazione industriale, i piedi siano stati sostituiti dalle macchine, l’intelligenza umana da quella artificiale. Poi mi è apparsa la Certosa di Pavia e ho pensato che i certosini hanno scolpito un vero e proprio scrigno scultoreo con il trapano a mano, e hanno costruito il loro monastero con la forza e l’energia che dava loro una dieta affatto vegetariana, infatti, quest’ordine non consuma mai carne, anche se si è malati. È raccomandata la frugalità, ma è proibita l’astinenza dal cibo. Durante i giorni feriali i pasti sono distribuiti ai monaci attraverso lo sportello a lato della porta d’ingresso della cella, nei giorni festivi il refettorio accoglie tutta la comunità e il pasto è consumato nel più assoluto silenzio interrotto solo dal confratello lettore a mensa che legge passi delle Sacre Scritture. Il bianco, simbolo di purezza, domina anche la mensa certosina: pesce, latte, formaggi. La cena è frugale, il venerdì è previsto il digiuno, vengono distribuiti solo pane e acqua. Se la comunità è abbastanza grande da poterselo permettere, gli ortaggi, la frutta, il pane, l’olio e il vino sono prodotti dai monaci stessi.
In ogni certosa, uno spazio considerevole era occupato dalla spezieria, un vero e proprio laboratorio per la trasformazione delle erbe officinali quasi sempre coltivate e raccolte intorno al monastero. Il monaco speziale e i suoi assistenti, dopo una accurata selezione e classificazione delle erbe provenienti appunto dal vicino “giardino dei semplici”, provvedevano alla pulitura, macerazione, spremitura, essiccazione, decozione, e in alcuni casi distillazione delle erbe. Lavoravano e studiavano intensamente tra alambicchi e mortai, bilance e fornelli e ottenevano tinture, distillati, decotti, unguenti tisane, cataplasmi, sciroppi, elisir e rimedi per ogni male: sicuramente avrebbero proibito a Ötzi il consumo della felce aquilina.

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